Il colossale sforzo compiuto negli ultimi tre decenni di traghettare la cucina italiana dalla trattoria al ristorante non è andato perso finché ci saranno al lavoro persone come Giovanni (classe 1951) e Gaetano (1960) Trovato, siciliani trapianti in Toscana quando si doveva lasciare il Sud per necessità. Due ingredienti italiani che percorrono i tre menu da Arnolfo in questa stagione: la gioia nel piatto, ossia quel sentimento che ti fa pensare “peccato sia finito” e il valore della famiglia. Il nuovo locale non ha nulla di folkloristico ma è fortemente territoriale: dai marmi ai bicchieri, quasi tutti i materiali sono prodotti nell’arco di una cinquantina di chilometri. La cucina è divisa in tre blocchi a vista: Gaetano è in piedi al centro e non lascia la postazione se non per salutare gli ospiti, dai 30 ai 40 coperti. Il personale di sala è motivato e molto qualificato, non ingessato, mantenendo un profilo appena sotto il cliente, attento a tutto, pronto alla battuta simpatica. La bella sorpresa è che a tavola i commensali possono scegliere anche menu degustazione diversi, merito questo esclusivamente dalla sicurezza dello chef e dalla sua capacità di organizzare la cucina. Il trucco di mestiere di Gaetano è far uscire dei fuori carta per tutta la sala, tra cui il suo piatto iconico, il piccione. Come potremmo definire la cucina di Gaetano Trovato da Arnolfo? Neoclassica contemporanea, dove carne, vegetale e mare convivono, con l’olio d’oliva come riferimento, senza disdegnare il burro in alcune preparazioni classiche. Ogni piatto vive all’insegna dell’equilibrio, ha freschezza senza cadere nel culto dell’acidità, lascia pulita la bocca senza spingere sempre e comunque con l’amaro, ha complessità olfattiva e gustativa senza venerare il fumè e le fermentazioni. Al di là delle mode, emerge la capacità di pensare piatti compiuti, al tempo stesso leggeri e golosi, in cui la purezza della materia prima si esalta nei minimi dettagli.